La prima lettura che la liturgia domenicale della Chiesa cattolica ci propone in questa domenica (Gn. 22,1-2.9.10-13.15-18), contiene secondo me una verità biblica molto importante. Ossia: L’obbedienza assoluta e totale che Abramo dimostrò a Dio mediante la disponibilità a sacrificare a Lui suo figlio unigenito Isacco, non è solo la prefigurazione di ciò che l’Onnipotente avrebbe compiuto personalmente col sacrificio del suo figlio unigenito Gesù, così come sempre è stato inteso questo passo; ma è anche, forse innanzitutto, la restituzione all’umanità di quella grazia primordiale che essa aveva perso a causa della disobbedienza di Adamo. Difatti, come nel caso del primo uomo, dove l’Onnipotente caccia dal suo regno Adamo e tutta la sua discendenza, anche in questo passo Dio riammette nel suo regno Abramo e tutta la sua discendenza. Discendenza che, come dice San Paolo nella Lettera ai Galati, non è seconda la carne, come fu per Adamo, ma è secondo lo spirito, cioè: secondo lo spirito di obbedienza come quello di Abramo. Pertanto, chiunque ha verso Dio una fede simile a quella di Abramo, riceverà dall’Altissimo la stessa grazia data a quest’ultimo.
Quindi, in definitiva, come per la disobbedienza di un solo uomo, Adamo, tutta l’umanità fu privata della partecipazione al regno di Dio, così, per l’obbedienza di un unico uomo, Abramo, tutta l’umanità ricevette da Dio la grazia di partecipare nuovamente al suo regno. L’obbedienza totale e libera di Abramo si contrappone alla disobbedienza altrettanto libera e calcolata di Adamo.