Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?

Il grido di angoscia che Gesù crocifisso emana un attimo prima di morire: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Mt 27,46; Me 15,34); appare sconcertante e ci spinge ad interrogarci sul suo senso effettivo: Che cosa significa questo grido? Come poteva il Figlio di Dio essere abbandonato da Dio Padre?

Prima di tutto, occorre sottolineare che nel riflettere su questo grido di Gesù, non bisogna dimenticare che Egli lo pronuncia citando il Salmo 22, il Salmo dell’Israele sofferente. Il quale esprime l’enorme sofferenza che provava un Israelita e l’intero popolo di Dio quando si sentivano abbandonati da Dio. Così facendo, Gesù assume in sé e su di sé tutto il tormento e il dolore del popolo di Dio, che momento in poi è tutta l’umanità, e li porta davanti al cuore e alla misericordia del Padre. Quel grido riassume in sé il grido di ogni singola creatura fatta a immagine di Dio.

È in quel momento, forse più che in altri, che Gesù si identifica con l’Israele sofferente, con l’umanità ed ogni singolo essere umano che soffre a causa della «lontananza di Dio»; e con quel grido assume in sé il loro grido d’angoscia, il loro tormento, tutto il loro bisogno di aiuto e, con ciò e al contempo, lo trasforma in un’invocazione di fiducia nel Padre; il quale, come si legge altrove nella Scrittura, non abbandonerà né il «Servo fedele» né l’umanità.

D’altronde, visto che Gesù, eccetto il peccato, si è fatto del tutto simile a noi per scontare al posto le colpe dei nostri peccati e ridarci la vita, è ovvio che ha dovuto immedesimarsi in noi fino in fondo ed assumere su di sé anche la condizione umana più estrema e desolante: sentirsi abbandonati da Dio. Se il peccato è: separazione da Dio; Gesù doveva provare ed prendere su di sé anche tale condizione umana.

Per queste ragioni, nel grido di Gesù non c’e alcun sentimento o risentimento che porti alla rivolta verso Dio, o che ceda alla disperazione di un reale abbandono; non c’e neanche l’ombra di un rimprovero rivolto al Padre, ma l’espressione dell’esperienza di fragilità , di solitudine, di abbandono a se stesso, fatta da Gesù al posto nostro, in modo che Egli diventa così il primo degli “umiliati ed offesi”, il primo degli abbandonati, il primo di tutto ciò che è l’uomo; per portare tutto ciò che l’uomo è, all’interno della divinità di Dio. Solo in questo modo l’uomo potrà un giorno essere come Dio e stare con Lui faccia a faccia.

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